domenica 16 febbraio 2014

E la Nave Va [Fellini Checklist 21/24]

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Per Fellini, gli anni '80, terza decade dietro la macchina da presa, si erano aperti con due tentativi falliti di rinnovamento forzato del proprio cinema. Quello che potremmo definire il filone “politico-sociale” giunge al suo massimo ne “E la Nave Va”, dove il regista riesce nell'impresa di ricongiungere sul grande schermo le sue immagini e il mondo che lo circonda. Superando l'ultimo, e più difficile ostacolo espressivo, è nello spazio delimitato della “Gloria N.” che Fellini tira le somme di tutta la sua cinematografia. Colpisce significativamente la mancata identificazione con il narratore, figura sbeffeggiata sin da “Amarcord”, ma sempre presente. È comunque il cinema a riflettere su se stesso ma nel farlo, impone l'obbligo di trattarsi da estraneo. Fellini sceglie di non comparire (anche nella meta-apparizione finale), non tanto per mantenersi esterno al racconto, ma proprio per non porsi, con la sua concretezza, separato dalla sua creatura. Il travestimento, l'alter-ego maschera/clown, è la condizione necessaria per poter affrontare la propria interiorità.






“E la Nave Va” è, allo stesso tempo, un biglietto da visita e una lettera d'addio. Fellini, come mai prima, riesce ad unire pensiero e ricordo, “8½ ” ed “Amarcord”, omaggiando in modo tenerissimo il cinema e la vita. È la scena iniziale a dircelo: è il cinema ad avere vita propria, qualsiasi sia l'epoca e indipendentemente dalla tecnica, ci sarà sempre un mezzo, una nave pronta al racconto. Il film è la nave, lo spazio della messa in scena, l'unico luogo possibile dove può risiedere l'arte. Prima di tutto, però, la scelta della musica: forse la decisione che più commuove, è l'aver voluto raccontare il proprio cinema tramite l'omaggio a Nino Rota, compagno di viaggio di una carriera (vita) intera. Di fronte al funerale della musa scomparsa, è il film stesso a volersi musica. È solo con essa che trova la parola, unicamente in essa trova il suo compimento. L'ombra della perdita presente in ogni nota, è il sincero commiato di Fellini a l'unica altra persona che riuscì a rendere tale la magia di ogni suo film.






Quello che rende “E la Nave Va” la pellicola di Fellini più completa ed unitario dai tempi de “8½ ”, è il modo in cui riesce a porsi dialetticamente con il mondo e la Storia. Lontano dalle crisi sociali, il film evita qualsiasi riferimento diretto alla contemporaneità (niente sindacati e femminismo) collocandosi temporalmente agli albori del 900. Ma in questo maniera non avviene un rifiuto della realtà, anzi rappresenta proprio il distacco necessario ricercato a lungo. Fellini arriva ad intuire che, affinché il cinema possa parlare del proprio tempo onestamente, non può farlo in modo volontario. La vita, nella riflessione senza tempo dell'arte, è solo un sotto-testo, un imprevisto non voluto. In questo “E la Nave Va” ricorda tantissimo il Jean Renoir de “La Regola del Gioco” o volendo il Luis Buñuel de “Quell'Oscuro Oggetto del Desiderio”. La riflessione lucida de “ La città delle Donne” è un vicolo cieco senza uscita. L'unica possibilità di dialogo tra arte e sguardo politico è l'annullamento della prima nella contaminazione della seconda.






Nel drammatico scontro tra il cinema e la realtà, Fellini si dichiara sostanzialmente sconfitto. Un film non potrà mai essere testimone della Storia (l'incapacità di determinare il motivo dell'attacco della nave austro-ungarica, tramite la decisione di mostrare la stessa scena più volte, ogni volta leggermente modificata, è una soluzione già utilizzata da Buñuel ne “L'Angelo Sterminatore”). È in questa incapacità, però, che l'arte decide di morire in piedi. Fellini non verrà mai fagocitato dalla realtà, la sua opera si pone al di là di ogni narrazione. La consapevolezza della finzione, l'apparire del set, è la rivendicazione di autonomia massima. Fuori dal tempo, il cinema potrà raccontare di nuovo la sua storia. E la nave, per sempre, va.



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